La vicenda del rapimento di Gianfranco Trezzi a Milano, purtroppo ebbe un drammatico epilogo.
Tra gli anni Settanta e Ottanta, in Italia, si diffuse il fenomeno dei sequestri di persona, e tra questi troviamo anche il rapimento di Gianfranco Trezzi, piccolo imprenditore milanese a capo di un’azienda specializzata in tubi e materiali siderurgici.
Tutto ebbe inizio la mattina del 19 settembre 1988.
Intorno alle 7 del mattino, l’uomo uscì dalla sua villa presso il Naviglio Martesana per andare a lavoro nel suo ufficio a Vimodrone.
Purtroppo la storia ci dirà che l’uomo non arrivò mai in ufficio. Infatti, verso mezzogiorno, alcuni dipendenti della fabbrica si accorsero che Trezzi non era ancora arrivato. Così, gli operai decisero di contattare la moglie Mercedes e i figli Massimo, Paolo e Cristina.
Intanto, alcuni impiegati cominciarono le ricerche di Trezzi. In via Rubattino 4, trovarono l’auto dell’imprenditore con le chiavi nel cruscotto e i finestrini alzati.
Sin da subito si pensò a un rapimento, anche se l’azienda era in una difficile situazione economica, motivo per cui qualsiasi richiesta di riscatto sarebbe stata da escludere.
Qualche giorno dopo il rapimento, alla famiglia Trezzi venne recapitata una lettera con allegata una foto dell’uomo che teneva in mano un quotidiano datato 22 settembre.
Per la liberazione di Gianfranco Trezzi, i rapitori chiesero cinque miliardi di lire.
La famiglia decise di affidarsi a un avvocato per mediare con i rapitori, per poi chiudersi in silenzio stampa.
Il 26 ottobre, la svolta delle indagini. All’Idroscalovenne trovato il cadavere di Valerio Affiaiato, l’uomo ricercato dagli inquirenti perché era stato visto aggirarsi nei pressi di Villa Trezzi pochi giorni prima del rapimento.
Dopo questo episodio, la polizia risalì al nome di Bruno Maria D’Alessandri, un insospettabile orefice. L’uomo confessò di aver partecipate al delitto Affiaiato e di essere uno dei capi della banda incaricata del sequestro Trezzi.
Dall’interrogatorio di D’Alessandri emerse che l’imprenditore milanese era stato tenuto prigioniero nella villa della Tana del Lupo, nei pressi di Cassolnovo, vicino Vigevano, in provincia di Pavia. Dopo la richiesta di riscatto, però, l’uomo venne ucciso.
Infatti, grazie alle indicazioni fornite da D’Alessandri, il 10 dicembre, nel giardino della villa, venne ritrovato il cadavere di Gianfranco Trezzi.
Il corpo della vittima era stato tagliato in una settantina di pezzi e, successivamente, chiuso in un sacco della spazzatura.
Intanto, la polizia continuò a cercare Giuseppe Sanzone, il capo della banda, e Renato Danne, un piccolo imprenditore milanese, indagato in qualità di complice in quanto proprietario della villa.
Dopo una lunga e difficile trattativa, il 30 dicembre, i due vennero arrestati in un appartamento di viale Suzzani, in cui convivevano da alcune settimane con due ragazze.
Il processo alla banda iniziò nel 1990. In conclusione, Danne, Sanzone e AntonioSbordone, responsabile materiale del delitto Trezzi, vennero condannati alla pena dell’ergastolo.
Pasquale Bergamaschi, il basista della banda venne condannato a trent’anni di reclusione, mentre D’Alessandri a diciotto anni.
Mario Sidoti, il fornitore delle armi per il rapimento, invece, venne assolto per non aver commesso il fatto, ma dovete scontare due anni e due mesi di prigione per la detenzione del porto d’armi.
Credit photo: vecchiamilano