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Milano, sindrome di Marinesco-Sjogren: la potenziale cura!

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Uno studio realizzato tra gli altri dall’Irccs Mario Negri a Milano, sindrome di Marinesco-Sjogren identificata un potenziale trattamento per la cura.

 

Potenziale cura per la sindrome di Marinesco-Sjogren

L’IRCCS – Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, in collaborazione con l’Università degli Studi di Chieti-Pescara, ha identificato un potenziale trattamento farmacologico per la sindrome di Marinesco-Sjogren. Rara malattia genetica altamente invalidante causata da mutazioni del gene SIL1.

I bambini affetti da questa sindrome hanno difficoltà nel coordinare i movimenti e parlare. E un’accentuata debolezza muscolare che impedisce loro di sostenersi e camminare in modo autonomo. Inoltre è stato riscontrato ipogonadismo, cataratta congenita e disabilità mentale. Questi sintomi appaiono nei primi anni di vita ed evolvono rapidamente fino a stabilizzarsi, consentendo una durata di vita pressoché normale. Pertanto una terapia che prevenga o rallenti l’evoluzione della malattia avrebbe un impatto enorme sulla qualità di vita dei pazienti.

 

L’importanza del gene SIL1

Roberto Chiesa responsabile del laboratorio di Neurobiologia dei Prioni, che ha coordinato lo studio pubblicato sulla rivista scientifica Human Molecular Genetics. Ha spiegato che il gene SIL1 è importante per il ripiegamento e trasporto delle proteine destinate alla membrana cellulare. In questa malattia SIL1 è difettoso e le proteine si accumulano all’interno della cellula attivando un segnale di stress che, se non viene contrastato, porta la cellula a “suicidarsi”. Un enzima, la chinasi PERK, media proprio uno di questi segnali di stress. Si è quindi deciso di verificare se possa esserci un farmaco sperimentale in grado di bloccare l’attività del PERK.

Topo woozy: modello animale di riferimento

In riferimento si è preso il topo woozy, che riproduce le caratteristiche principali della malattia. Cioè la degenerazione del cervelletto e dei muscoli scheletrici, sviluppando nel tempo un’andatura traballante. Ha continuato Michele Sallese, dell’Università degli Studi di Chieti-Pescara, che l’idea di bloccare il PERK potesse funzionare supportata da esperimenti fatti utilizzando un modello cellulare della malattia. Si è dimostrato così che l’inibizione di PERK ripristina almeno in parte il trasporto delle proteine nella cellula. Si attendono ancora conferme definitive sul proseguimento degli studi di ricerca.

credits: pixabay

@Clelia Mumolo

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