Quell’aneddoto dell’unguento misterioso e asparagi: Giulio Cesare a Milano, al tempo in cui era governatore della Gallia Cisalpina.
La leggenda
Giulio Cesare, al tempo in cui era governatore della Gallia Cisalpina, venne invitato da Valerio Leonte, influente autorità milanese all’epoca, a un grande banchetto di benvenuto. Plutarco narra che agli ospiti furono serviti degli asparagi conditi da uno strano unguento giallastro sconosciuto agli ospiti romani. Il piatto però risultò poco gradito agli stranieri che non conoscevano altro condimento al di fuori dell’olio d’oliva. L’unguento giudicato maleodorante e disgustoso portò l’intero gruppo a un rifiuto unanime nell’assaggio della tipica pietanza milanese.
Lo sconcerto fu grande. Non certo voleva essere un insulto quello dei milanesi, ma avevano semplicemente offerto ciò che ritenevano il meglio della propria cucina.
Giulio Cesare, per evitare l’offesa e un increscioso incidente diplomatico, senza battere ciglio iniziò a mangiare la fetida pietanza, trovandola infine per niente disgustosa come sembrava.
A fine convivio Giulio Cesare chiese cosa mai fosse quell’unguento maleodorante con cui erano stati conditi gli asparagi. Leonte sorpreso per la domanda inaspettata rispose: “Governatore, quest’unguento si chiama burro ed è prodotto dalle nostre belle e grasse vacche cisalpine“.
Burro o mirra?
Plutarco nei suoi scritti in realtà parla di mirra o comunque di un olio profumato, non di burro. La traduzione dello studioso calvinista è senza dubbio inoppugnabile. A Roma, però, il burro era usato come unguento o cosmetico. Pertanto a posteriori si è ben pensato di tradurre con burro piuttosto che mirra la leggenda del convivio cesareo.
A favore della traduzione più recente influisce anche l’esistenza della pietanza tipica milanese, fatta per l’appunto con asparagi e burro. Lo sconcerto dei romani, infine, è reso perfettamente nel vedere il burro come condimento da cucina quando da sempre era stato solo usato come prodotto di cosmesi.
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