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La peste a Milano del 1630: ritrovato il batterio negli archivi del Politecnico

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La peste a Milano del 1630 fa tornare alla mente i ricordi del liceo: i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

 

L’epidemia

La peste è ricordata come la terribile epidemia che si scatenò tra il 1630 e il 1631 nel Nord Italia, decimando gran parte della popolazione. Milano, tra le città più popolote fu devastata per un totale di 60 mila morti. L’epidemia si propagò facilmente, anche grazie allo stato di estrema povertà in cui il popolo si trovava dopo due anni di carestia causata della guerra per la successione di Mantova. Nei capitoli finali dei Promessi sposi Manzoni fa riferimento alla situzione storica. Descrive il Lazzaretto, i cumuli di cadaveri in putrefazione e il ruolo svolto dai monatti. In particolare nei capitoli XXXI-XXXII presenta una digressione storica ricostruita ad hoc sulla diffusione del morbo e le sue drammatiche conseguenze.

 

La scoperta del batterio

Chi si rivede, verrebbe da dire. A Milano hanno ritrovato il batterio della peste del 1630, quella delle pagine più vivide dei “Promessi sposi”. Ricordando anche le pagine storiche sul supplizio dell’untore Gian Giacomo Mora. Morto non solo innocente come sapeva il Manzoni, ma pure, come si vedrà, eroe borghese che si sforzava di ridurre il contagio. Memorie liceali rievocate all’Archivio di Stato, dov’è stata illustrata la ricerca che ha scoperto, sui fogli dei registri di morte dell’estate 1630, le proteine del batterio «Yersinia pestis». Ovvero il batterio della peste bubbonica, identificata per la prima volta nel 1894 da Alexandre Yersin.

 

La ricerca

La ricerca è stata condotta dal Politecnico di Milano, a cura del professore Pier Giorgio Righetti, in collaborazione con la società Spectrophon Ltd. Negli ultimi anni è stato sviluppato un sistema nuovo per individuare le molecole rimaste su documenti senza ricorrere a processi invasivi o corrosivi. si tratta dell’uso del polimero EVA, che sta per Etil-Vinil-Acetato. Il quale posto a reazione con alcune resine e sistemato su un dischetto che va poggiato sul documento di riferimento. Grazie a questa reazione cattura il materiale organico senza danneggiarlo né contaminarlo. I fogli scelti da Righetti provengono dai registri dei decessi registrati nell’estate del 1630. Si tratta di lunghi elenchi di nomi con la scritta “ex peste obiit”, tradotto “morì di peste”. Il bilancio finale fu di circa 60 mila morti solo a Milano e 160 mila nell’intero Ducato. In pratica all’incirca metà della popolazione.

 

I risultati

I risultati sono stati inequivocabili. EVA ha catturato 26 proteine tipiche della peste. Chiariamo subito: inoffensive. I bubboni,non si sono mai più rivisti, ma il batterio più killer della storia italiana sì. Presenti anche le proteine del carbonchio e antrace. Qualche anno fa ebbero una certa notorietà quando iniziarono a pervenire ai giornali tramite lettere contaminate. Secondo i registri secenteschi, circa il 5% dei decessi fu dovuto non alla peste, ma da una non specificata febbre violenta conseguente a un’infezione polmonare causata dall’antrace. Insomma, i poveri cerusici o barbieri dell’epoca avevano effettivamente individuato la diagnosi, anche se non ne conoscevano ancora la causa e men che meno la cura.

 

Altre curiosità 

Le proteine hanno svelato anche altre curiosità. si è riscontrata la presenza di una sessantina di cheratine umane, tutte con proteine vegetali. Segno che gli scrivani seguissero probabilmente una dieta vegetariana, fatta di tanto mais e priva di proteine. Sono state trovate anche tracce di escrementi di topo e latte vaccino. Non si esclude, dunque, l’ipotesi che la causa del contagio sia stata dovuta anche al contatto diretto con questi animali.

credits: cinemablend

@Clelia Mumolo

 

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